Possibile per il dipendente rifiutare atti formali durante l’orario di lavoro
Come deve essere valutato il comportamento del dipendente?
Se è vero che, a fini disciplinari, ben può rilevare in sé il rifiuto del dipendente di ricevere, sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro, atti formali (a prescindere dalla provenienza degli stessi dal superiore gerarchico ovvero dall’organo politico insediato alla guida dell’ente), è altrettanto vero che il comportamento del dipendente vada valutato non solo nel suo contenuto oggettivo - con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento volitivo del soggetto. In questa ottica i giudici aggiungono, facendo riferimento anche alla vicenda presa in esame, che il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico, condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. Nel caso specifico, anche se non si discute della mancata esecuzione di un ordine ritenuto illegittimo in quanto direttamente collegato ai fatti oggetto della segnalazione fatta dal lavoratore, tuttavia la possibile percezione, da parte sua, degli atti la cui ricezione è stata rifiutata quali indebite pressioni in relazione alla segnalazione suddetta, in un contesto di asserite sollecitazioni - parimenti meritevoli di approfondimento istruttorio - intese ad evitare che fossero portate alla luce le lamentate irregolarità , stanti le particolari circostanze in cui il comportamento è stato posto in essere, sono elementi che non possono esser pretermessi nella valutazione dell’eventuale illecito disciplinare, anche sotto il profilo dell’intensità dell’elemento volitivo. (Ordinanza 15652 del 5 giugno 2023 della Cassazione)