Collaboratrice scolastica inserita in graduatoria ma senza titolo: condannata per danno erariale

Il fraudolento conseguimento dell’incarico sulla base di false dichiarazioni relativo al possesso - non veritiero - del titolo richiesto comporta l’irrimediabile rottura del rapporto di lavoro e, per l’effetto, le retribuzioni percepite risultano sprovviste di quella giusta causa che sempre deve legittimare la loro liquidazione

Collaboratrice scolastica inserita in graduatoria ma senza titolo: condannata per danno erariale

Possibile ritenere colpevole di danno erariale la lavoratrice che è entrata in graduatoria senza il titolo richiesto e che così è stata retribuita dal Ministero dell’Istruzione. I giudici sanciscono che il fraudolento conseguimento dell’incarico sulla base di false dichiarazioni relativo al possesso - non veritiero - del titolo richiesto comporta l’irrimediabile rottura del rapporto di lavoro e, per l’effetto, le retribuzioni percepite risultano sprovviste di quella giusta causa che sempre deve legittimare la loro liquidazione. Nel caso specifico, preso in esame dai giudici, alla lavoratrice è stata contestata la responsabilità contabile per un danno erariale di quasi 50.000 euro, corrispondente alle retribuzioni da lei illecitamente percepite, stante la falsa autocertificazione del possesso del titolo di studio richiesto per essere inserita nelle graduatorie per l’accesso al ruolo di collaboratore scolastico. Per i giudici non ci sono dubbi: l’inserimento in una graduatoria attraverso la dolosa attestazione di un titolo di studio abilitativo mai conseguito comporta un danno all’erario sotto il duplice profilo dell’ingiustificato ottenimento dell’impiego presso l’amministrazione e della conseguente indebita percezione delle corrispondenti retribuzioni a carico delle pubbliche finanze. E l’espletamento della mansione lavorativa non supportata da idoneo e prescritto titolo di studio non integra alcun idoneo vantaggio compensativo, chiariscono i giudici, poiché l’amministrazione non richiede né remunera una qualsiasi prestazione, bensì prestazioni corrispondenti a predeterminati parametri, in relazione ai quali determina ex ante il titolo di studio minimo richiesto per l’accesso all’impiego. In altri termini, il difetto della professionalità richiesta rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione, essendo venuto meno il relativo rapporto sinallagmatico. Logica, quindi, in questo caso, la condanna della lavoratrice al risarcimento del danno patrimoniale arrecato all’erario e pari alle retribuzioni lorde conseguite senza titolo. (Sentenza 19 del 28 febbraio 2023 della Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale dell’Emilia Romagna)  

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