Esdebitazione negata anche a fronte di una sentenza di patteggiamento
Beneficio negato ad un soggetto che in passato aveva patteggiato a fronte dell’accusa di bancarotta fraudolenta

Per negare l’esdebitazione fallimentare è sufficiente anche la sentenza di patteggiamento, equiparabile, secondo i giudici (sentenza numero 18517 del 7 luglio 2025 della Cassazione), alla sentenza di condanna.
Questo il punto fermo fissato dai giudici, chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo alla negazione del beneficio esdebitatorio ad un soggetto che in passato aveva patteggiato a fronte dell’accusa di bancarotta fraudolenta.
Per maggiore chiarezza, comunque, i giudici fissano il principio secondo cui, in tema di riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione, ai fini della sussistenza della condizione ostativa indicata dalla legge fallimentare, ossia una condanna (con sentenza passata in giudicato) per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economica pubblica, l’industria e il commercio, deve ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna la sentenza di patteggiamento della pena. Ciò però, precisano i giudici, alla luce del disposto normativo precedente alla cosiddetta ‘Riforma Cartabia’.
Sul tavolo la questione della correttezza giuridica dell’equiparazione – contenuta nel decreto impugnato dal fallito, in questa vicenda -, ai fini impeditivi previsti dalla legge fallimentare rispetto alla concessione del beneficio dell’esdebitazione, tra sentenza di condanna e quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel regime processuale antecedente alla ‘Riforma Cartabia’.
Per i giudici di Cassazione è preferibile la tesi secondo cui la pronuncia di patteggiamento è equiparabile alla sentenza di condanna, in modo tale che entrambe ostano al riconoscimento del beneficio esdebitatorio. Ciò anche perché la sentenza di condanna viene in evidenza non per gli effetti di giudicato ma quale fatto storico, come tale di per sé ostativo ex lege al riconoscimento del beneficio esdebitatorio. La sentenza di condanna integra, cioè, un elemento normativo già previsto ed apprezzato ex ante dal legislatore come requisito impediente il beneficio dell’esdebitazione, poiché collegato ad una intrinseca valutazione di non meritevolezza del soggetto attinto dal provvedimento penale di condanna, per i reati espressamente previsti dalla legge fallimentare, fatta salva sempre la possibilità della riabilitazione.
Utile, poi, secondo i giudici, un breve cenno alla natura dell’istituto della esdebitazione, che consente al fallito persona fisica la liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti ma al ricorrere di determinati presupposti, definiti indici o requisiti di meritevolezza, derogando al principio della responsabilità patrimoniale. In particolare, la norma prevede – in adesione alla sua natura essenzialmente premiale – il ricorrere di una serie di condizioni (di carattere fondamentalmente soggettivo e a carattere positivo o negativo, a seconda che se ne prescriva la presenza oppure l’assenza ai fini del riconoscimento del beneficio) riguardanti, da un lato, la condotta tenuta ad opera del debitore sia prima che durante la procedura e, dall’altro, l’assenza di circostanze impeditive personali, consistenti in condotte antigiuridiche, concretatesi o meno in una condanna penale. Segnatamente, all’interno della seconda categoria è possibile rinvenire circostanze impeditive personali relative a condotte antigiuridiche, tanto non concretatesi in una condanna penale (distrazione dell’attivo, esposizione di passività insussistenti, avere cagionato o aggravato il dissesto, avere reso gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, avere fatto ricorso abusivo al credito), quanto concretatesi in determinate condanne penali ostative (si prescrive che il debitore non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione).
Ragionando in questa ottica, l’equiparazione tra condanna e patteggiamento risulta conforme al sistema complessivo dettato dal ‘Codice di procedura penale’, poiché sono riconducibili all’ampio genus delle sentenze di condanna tutte le pronunce che irrogano la pena, indipendentemente dal rito che ha condotto alla loro emanazione. In questa prospettiva sono, dunque, assimilabili, in difetto di altre indicazioni, non solo le sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, ma anche il decreto penale di condanna ovvero, per l’appunto, la pronuncia di patteggiamento.